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Immaginiamo per un momento di catapultarci nella preistoria: un’atroce senso di vuoto ci impregnerebbe, la coscienza di noi stessi verrebbe perforata e l’istinto umano sarebbe pronto a lasciarci un marchio. Idee fantasiose e astratte occuperebbero un posto imperante, i cinque sensi fungerebbero da inesorabile sostegno e lo svilupparsi delle tecniche arzigogolate sarebbe di assidua crescita. Vi sarebbe la concezione di vincere la battaglia contro il tempo: quell’imponente lasso si preparerebbe all’evoluzione filetica, tecnica e culturale. Ma, immaginiamo di trovarci nel bel mezzo di Oros, una terra superba, fertile, leggendaria. La natura primigenia dominerebbe incontrastata: non è un caso che impareremmo a cacciare, addomesticare la megafauna selvatica, spostarci tra gli ambienti più ostili al fine di diventare un predatore impetuoso. Tutto ciò sarà eseguibile in Far Cry Primal, nuovo titolo di punta dei vertici di Ubisoft. Un compito inoppugnabilmente non facile, quello del nuovo seguito: il brand è vigoroso e ardente, pertanto in linea parallela l’idea poteva benevolmente essere infusa in un altro progetto quantomeno singolare. Dopo aver smosso l’acceleratore alla rinomata saga degli assassini, sembra voler attuare il contrario con tale saga, offrendo titoli con cadenza regolare. Eppure, questa nuova incarnazione offre un cambiamento radicale in termini di atmosfera, e a onta di ciò occorre imbattersi in questa domanda: riuscirà Far Cry Primal a mettere a frutto l’offerta di farci tuffare in una spericolata età della pietra? Non ci rimane che scoprirlo insieme.
L’età della pietra
Abbiamo visitato arcipelaghi, pianure africane, un paradiso tropicale e una pericolosa Himalaya. Ciò che ci è rimasto è un’integrale atmosfera esotica, offerta dalla compagnia francese. Nella loro mente, però, c’era il bisogno di cambiare drasticamente qualcosa: dopo quattro consegne, questa volta impersoniamo Takkar, un uomo che si erge in qualità di capo della tribù dei Wenja, un popolo minacciato dalla pressione degli Izila, spietati cannibali posizionati a nord, e Umdam, fanatici maestri del fuoco a sud. Sono quindi dei clan aggressivi cui dovremmo tenere a bada in questa terra aspra e inospitale. Saremo gli unici a mantenere un controllo con le creature della terra, ma il nostro unico obiettivo è salvaguardare i compagni e ammassare la tribù in un unico villaggio di capanne. Una volta trovati e aggiunti, influenzeranno le capacità del primordiale Takkar, ciascuno però ha la propria ridotta storia che può essere perseguita da noi.
Con le risorse alle nostre dipendenze, quella impellente e doverosa è affidarsi al senso del cacciatore, utile nel far risaltare tutti gli elementi nelle immediate vicinanze, attraverso un effetto visivo non difforme a quanto intravisto nella serie di Assassin’s Creed. Questo requisito ha certamente le sue peculiarità: ci avvaliamo della facoltà di individuare gli animali da depredare, al punto di notarne addirittura gli odori sotto forma di palesi scie colorate.
Tornando al preambolo narrativo, non possiamo non esimerci nell’affermare che si discosta in maniera limpida dai predecessori. Manca quel detonatore seppellito che gli incrementi più spessore: potrebbe non riuscire nell’intento a infondere a tutti i giocatori quello sprone bisognoso per continuare a giocare con persistenza. Il risultato è una storia non molto aneddotica e di discreta rilevanza. Avrete compreso sinora che non si tratta di un gioco ineccepibile, poiché anche il sistema di combattimento conosce tra alti e bassi il fatto suo.
D’altro canto l’ambientazione primitiva influisce molto sull’andamento di gioco. Una nota positiva e ben fondata è la lingua: l’intero gioco assapora un linguaggio corredato da urla e versi, e per comprenderlo al meglio occorre fissare la nostra attenzione sui sottotitoli per non districarci dal racconto principale; quest’ultimo impostato bene, ma privo di sorprese e colpi di scena. Non aspettiamoci quindi amori proibiti all’interno delle tribù o svenimenti di donne mentre ci incamminiamo nel villaggio.
La terra di Oros
Salutiamo i veicoli e le armi da fuoco: spazio per le clave, gli archi e le lance. Alle prime battute di gioco avremo in dotazioni questi utensili, indispensabili per il nostro Takkar. I problemi negli scontri, in ogni modo, si innalzano in superficie dal momento che sono ravvicinati. Adoperando quelli corpo a corpo, sarà complicato mantenere un determinato equilibrio: non esiste la parata e le schivate sono triviali. Una piccola soluzione a questa imprevidenza è senza dubbio l’utilizzo dell’arco, in grado di ferire il nemico da ampi raggi, e di altre armi che possono essere gettate da una distanza calcolata.
L’intelligenza artificiale, poi, in Far Cry Primal non si comporta adeguatamente ed è un punto dolente, considerato che gli sviluppatori hanno optato per l’assenza di una modalità multiplayer e cooperativa, per adempiere ad un’esperienza di gioco singola più avvincente e suggestiva. Malgrado ciò, possiamo limare questa poca esaustività nel lato dei combattimenti, mediante l’addomesticamento delle bestie efferate. Per attribuire questo vantaggio, non dovremo esitare ad aspettare quando ci verrà assegnata tale capacità. C’è da rimarcare infatti la possibilità di sfruttare i gufi come droni volanti, avere i quadrupedi più spietati come nostro tassello di forza.; da annotare ebbene uno degli elementi fondamentali del gioco, ovvero impostare un assetto distinto nelle battaglie, a seconda dell’animale da noi domato e ritenuto idoneo in tale circostanza.
Oltre alla progressione storica, Far Cry Primal ha ancora da garantire divertimento: ci sono varietà in parole di missioni secondarie e mediante l’esplorazione sarà basilare raccogliere materie prime e pelli al modico compito di rimpannucciare gli abitanti del villaggio e ottimizzarne le condizioni di vita. Il numero delle persone ne che occuperà il posto è in crescita quando ci apprestiamo a completare le missioni, sia principali che secondarie. Il tutto condito da un impianto di equipaggiamento tutto sommato ragguardevole.
Una ventina di ore sono più che sufficienti per terminare l’arco narrativo, comprese le quest facoltative. Da qui un susseguirsi di eventi richiesti volti ad arricchire la popolazione. Per completare il gioco vero e proprio, avremo bisogno di ore aggiuntive per cercare frugare tutti i collezionabili sparsi per il territorio. Una menzione specifica va al ciclo giorno e notte, in quanto aggiunge un punto al sistema di gioco. Nel cuore del buio, i predatori diventano sempre più numerosi, specialmente aggressivi e brutali. Possiamo sempre ricorrere ad una concisa strategia: accamparci in sicurezza nei svariati campi sparsi per la mappa o avendo alla portata di mano una torcia attinta da una clava in fiamme, quale consente di godere di un’irrisoria visibilità e di tenere ad una solida distanza i predatori. Funzionale e pratico è l’esponente crafting, dal momento che la sgarbata e tetra Oros è agiata di risorse.
Metterci di fronte ad un gioco improntato sulla preistoria non fa che galvanizzarci. Il lavoro è corale, in quanto un lavoro del genere, essendo a onor del vero oggi altamente improbabile e poco perveniente, è assolutamente da tener conto. Il costituente preponderante di gioco è l’ambientazione, dove riesce anche indirettamente a farci rimanere stupefatti dal suo fascino e dalla tendenza dei luoghi. Il mondo di Oros è realizzato con una superba attenzione per i dettagli: i paesaggi sono fantastici, e non abbiamo la vaga idea di rimanere fuori posto o di essere completamente trascurati. Le sfumature dei nostri compagni, degli animali circondati intorno a noi, o l’aria primitiva e giurassica dell’allora mondo: è come se percepissimo la virginea natura intorno a noi. C’è da segnalare la presenza dei 30fps, completamente stabili, lo stesso motore grafico utilizzato appieno nel quarto capitolo della saga, e un comparto acustico poco cavato. Sembra piuttosto datato ed è un vero peccato: le texture sono indigenti e le illuminazioni non sono molto rudimentali.
Commento finale
Far Cry Primal ci ha esterrefatti e saziati lo stesso, rende fresca e appagante l’esperienza di gioco. È sostanzialmente un prodotto che si colloca all’apice della saltuarietà a livello di originalità. Avendo, poi, a fianco la componente ruolistica non può indubbiamente che dettare il ritmo dell’esplorazione. Paga unicamente l’idea: non a tutti piacerebbe giocare senza le sparatorie.