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Oggi viviamo nell’epoca dei remake, dei reboot, dei sequel, prequel, midquel e chi più ne ha più ne metta. Siamo letteralmente invasi da queste produzioni che giocano con i sentimenti di un certo tipo di pubblico e ormai non ne possiamo più farci niente. Siamo nell’epoca in cui si cerca di vivere di nostalgia. Eppure alcuni remake, raramente, escono belli, grintosi e più belli delle opere originali. È raro, ma capita. Un esempio lampante è Road House, remake di Il duro del Road House del 1989 e che in fin dei conti non era un gran filmone, ammettiamolo.
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La prima stranezza era proprio quella di vedere il remake di un film che non è considerato un capolavoro o un cult intramontabile. Sono sicuro che addirittura ci siano poche persone a ricordarselo bene. Ebbene, questo remake ne esce a testa alzata, fiero e con i muscoli ben definiti. Un gran film d’azione come non se ne vedono spesso.
Diretto da Doug Liman, Road House vanta un cast formato dal buon Jake Gyllenhaal, dal lottatore dell’UFC Conor McGregor, Daniela Melchior, Billy Magnussen, Lukas Gage, Arturo Castro, Beau Knapp e Jessica Williams. Una scelta che in fin dei conti ho apprezzato fin dall’inizio e sullo schermo tutto funziona alla grande, senza sbavature o problemi vari.
La storia del film ruota attorno all’ex lottatore dell’UFC, Elwood Dalton, che decide di prendere in carico un lavoro semplice: aiutare una roadhouse situata a Glass Key, un luogo immaginario facente parte dell’arcipelago di Florida Keys con i delinquenti abituali. Un problema da poco per un lottatore abituato a lottare, ma che sorprendentemente riserverà diverse sorprese a Dalton.
La sceneggiatura scritta a quattro mani da Anthony Bagarozzi e Charles Mondry è violenta, un po’ hard boiled un po’ retro, ma con tantissimo animo. Questo infatti è un film che gioca molto sulle atmosfere cupe, ma allo stesso tempo con una spiccata comicità. Un po’ alla Reacher per intenderci. In effetti i due show potrebbero essere visti insieme, visto che in entrambi ci sono tantissime mazzate e una storia interessante. Certo, quella di Road House è abbastanza semplice e non ha molto a che vedere con un vero giallo, ma come action non solo regge, ma oserei dire che spacca di brutto. In fondo, questa pellicola vuole farci divertire per due ore e cavolo se ci riesce. Le battute volano, i cazzotti pure e nel frattempo si stacca pure qualche dente.
L’azione scorre violenta in questo film. Scene girate con maestria grazie alla bravura di Doug Liman, che in fin dei conti sa bene come realizzare un film con tante botte coreografiche e capaci di emozionare lo spettatore. Dopo The Bourne Identity e un meno fantastico Edge of Tomorrow, il regista torna a deliziare con delle scene che portano le vibes di Miami Vices, ma anche del Road House originale. I momenti veloci sono frammentari, ballerini e adrenalinici, ma si è sempre in grado di capire l’azione sullo schermo e di comprenderne i punti forti e quelli deboli. La tecnica utilizzata durante i combattimenti riprende proprio quella di Bourne e vede le sezioni velocizzate per dare più spettacolarità all’azione stessa.
Il film originale, Il duro del Road House del 1989, vantava la presenza di un Patrick Swayze all’apice del suo successo dopo un fortunatissimo Dirty Dancing. Stavolta invece nei panni del protagonista troviamo un prestante e pompato Jake Gyllenhaal, che sa benissimo come impersonare qualcuno e come cambiare la propria forma fisica. Il suo lavoro è stato infatti incredibile e difficile, a detta sua. Dall’altra parte c’è un Conor McGregor che probabilmente non ha nemmeno avuto bisogno di un copione, visto che nel film sembrava proprio lui in tutto e per tutto. Ecco, il suo doppiattore devo dire che stonava un po’ con la sua stazza.
Road House è un buon film. Non è un capolavoro e non vuole esserlo, ma per due ore vi farà dimenticare il luogo nel quale vi trovate.