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Questo luglio è arrivato come il Comico durante la guerra di Vietman con suo lanciafiamme. Un caldo improvviso che però non poteva farci dimenticare la presenza del solito buon Dylan Dog nelle fumetterie italiane. Questo mese un po’ di sano slasher da tenerci occupati durante qualche domenica al mare, fiume o lago. Alla sceneggiatura un ottimo Pasquale Ruju, che come al suo solito si muove su dei binari già prestabiliti per lui; nella sua comfort zone insomma. Ai disegni invece un novellino dylaniano, Fabrizio Des Dorides, che nonostante alcuni momenti incerti spinge sul machete con una forza dirompente. Insomma, questi sono gli ingredienti di questo Dylan Dog #382: Il Macellaio e la Rosa.
Il giardinaggio
La storia di questo volume inizia con uno dei personaggi più amati dai fan, l’ex ispettore Bloch. Questi si ritrova con un interessante romanzo tra le mani, che racconta in modo fin troppo preciso alcuni omicidi avvenuti realmente e di cui non c’è ancora un vero e proprio colpevole. Questo fa partire una ricerca da parte della polizia, ma la parte interessante arriva ora. L’autrice del volume si reca direttamente da Dylan spiegando di non aver mai scritto quel libro in quanto impossibilitata dopo l’incidente.
Avremo quindi i due grandi amici agire insieme cercando il colpevole di quest’avventura, in cui il sangue è solo il contorno di un piatto molto più terribile. Si tratta quindi di un altro albo che cerca di andare verso le origini del personaggi e senza tralasciare la parte sovrannaturale.
Slash
Come ho detto all’inizio, Pasquale Ruju è un maestro con questo genere di storie e lo dimostra anche qui, creando tra l’altro una storia da leggere su due livelli, quella del nostro Old Boy e quella di Bloch. Vediamo i due condurre delle indagini e aiutarsi a vicenda per non far scoprire il tutto alla polizia e nel frattempo la polizia che lavora per i fatti loro con il personaggio di Rania cambiato per un po’. Sappiamo tutti che prima o poi questo rapporto di totale indifferenza o volterà verso l’odio oppure verso la riappacificazione. Anche i dialoghi non risultano mai noiosi e l’autore gioca bene anche la sua narrazione del libro, in cui vediamo i crimini e il pensiero dell’autore.
Fabrizio Des Dorides è alle prime armi con un personaggio cosi statico, ma allo stesso tempo cosi mutevole. La sua tecnica sfritta tre tonalità all’interno della descrizione del libro e grazie a questa è facile capire di cosa stiamo parlando e quando. Capita infatti di vedere come unica differenza delle vignette arrotondate, che sulle prime spiazzano e non fanno capire il loro motivo. Cosi invece abbiamo sempre sott’occhio l’obbiettivo. Durante la linea temporale viva invece il chiaroscuro ricostruisce un’Inghilterra non priva di dettagli, ma nemmeno con una quantità esagerata di questi. Abbiamo un’interessante regia che non si limita al compitino semplice semplice e i personaggi ci giocano un ruolo principale, con delle espressioni facciali realistiche. Si tratta quindi di un albo che appunto cerca di tornare alle origini, ma senza dimenticare del presente e sopratutto, un volume che per l’estate è perfetto, sopratutto in attesa dell’uscita di quello scritto da Dario Argento.