Dylan Dog 386: Hyppolita – Recensione

Dylan Dog 386: Hyppolita
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L’incontro mensile con l’indagatore dell’incubo Dylan Dog è un piacere che personalmente cerco di lasciare a quei momenti in cui la lettura avrà un impatto maggiore su di me. Momenti di calma durante la notte, con una tazza di tè e una sola luce accesa in casa. Si tratta di quel momento particolare che mi sono prefissato da tempo di avere sempre a disposizione, anche se a volte non ne ho possibilità. Stavolta qualcosa non ha funzionato però. Dopo alcune pagine piuttosto interessanti ho sentito una strana sensazione che poi ha rovinato totalmente la lettura e mi ha fatto sorgere parecchie domande. Benvenuti nella recensione di Dylan Dog 386: Hyppolita.

Filoppolita

L’inizio della storia vede la polizia inglese trovare una persona sotterrata fino alla testa nel terreno con il cranio aperto e un fiore conficcato nel cervello. L’assassino che la stampa chiama “il Giardiniere” e che sembra essere imprendibile. Dall’altra parte abbiamo un’anziana donna di nome Hyppolita che spiega a Dylan qualcosa che la turba. Il suo istinto materno le dice che il killer altri non è che suo figlio sotratto a lei quando era ancora una giovane ragazza. Da questo momento la storia si diramerà su due binari. Da una avremo Dylan che non cercherà il killer, ma il figlio della donna che vorrà aiutare. Dall’altra invece avremo la polizia che cercherà di braccare l’assassino.

Qualcosa non va

Aprire l’albo in questione è un po’ come ritrovare due storie, di cui una sembra una copia di qualcos’altro, mentre l’altra intriga nella sua dimensione contenuta. Quella interessante riguarda la polizia e la loro indagine insieme alle scene del crimine e alla crudeltà del killer. Questi taglia il cranio a delle persone vive e ogni istante è sempre ben presente sulle vignette. La parte che sembra quasi una presa in giro è invece relativa Dylan. A parte qualche minimo dettaglio sembra una copia del film Philomena del 2013 diretto da Stephen Frear. Stessa e medesima storia, stesso destino e alcuni passaggi sembrano proprio presi a forza dal film e inseriti nel fumetto. Anche la protagonista a tratti somiglia a Judi Dench. Personalmente questa è una scelta di Giancarlo Marzano che non condivido in nessun punto e qualcuno potrebbe dire che si tratta semplicemente di un plagio. In ogni caso, se qualcuno ha visto il film, saprà che la drammaticità e l’emozione non sono paragonabili a quelle di questa storia. Tutto questo seguire una storia già vista in un film ci porta a un finale che lascia basiti e stupiti. Nessuna spiegazione ci verrà data e probabilmente si trattava solo di un modo di terminare in fretta la narrazione per una questione di pagine. La cosa che mi rende perplesso è che si tratta di un autore non alle prime armi, ma al contrario, un veterano con una penna di ferro che cade in queste buche.

Per fortuna che poi dal lato grafico abbiamo Piero Dall’Agnol e Francesco Cattani che insieme riescono a dare un’anima questo albo. Due stili di disegno per due narrazioni che si adatto perfettamente. I visi hanno una giusta teatralità e riescono ad esprimere tute le emozioni, ma non solo. I tempi narrativi con il killer raggiungono l’apice con dei momenti che riescono quasi a disgustare per la crudeltà mostrata. Si tratta sicuramente della miglio componente di questo albo e mi duole dirlo perché poteva uscirci qualcosa di meraviglioso.

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Sull'autore

Rostislav Kovalskiy

Un non troppo giovane appassionato di tutto quel che ruota attorno alla cultura POP. Vivo con la passione nel sangue e come direbbe Hideo Kojima "Il 70% del mio corpo è fatto di film".