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Fin da piccolo, Ken il guerriero ha rappresentato per me ciò che per molti altri ragazzini della mia età era Dragonball: “il cartone più bello del mondo”. Se, però Dragonball può definirsi un prodotto ben integrato con il mondo videoludico, lo stesso non si può dire dell’universo di Ken. Questo, infatti, almeno nei tempi recenti non ha avuto una ‘glorificazione’ videoludica degna della qualità del prodotto cartaceo (o televisivo). Nonostante abbia, in verità, apprezzato i titoli musou quali Ken’s Rage 1 e 2, questi sicuramente non sono stati apprezzati dai più. Ma se c’è un team di sviluppatori che potrebbe dare alla saga di Ken un videogioco degno del peso che comporta, è lo stesso team che si è occupato di Yakuza, ed è così che è nato Fist of the North Star: Lost Paradise o anche conosciuto come Hokuto Ga Gotoku nel paese del Sol Levante. Sarà riuscito lo Yakuza Team ad infondere la sua esperienza in un titolo di successo con protagonista l’uomo di Hokuto?
Mai, mai scorderai…
Il titolo si apre con ciò che abbiamo visto nella Battle Mode della Demo: lo scontro contro Shin, l’uomo che rapì Yuria, l’amata di Ken. Fin qui le vicende non si discostano molto da quelle che abbiamo visto o letto nell’opera originale: Ken arriva da Shin e lo sconfigge solo per scoprire che Yuria non è più lì. Tuttavia, subito dopo questa introduzione, la storia prende una piega del tutto originale. Ci viene introdotta poco più avanti la città paradiso di Eden, dove c’è cibo ed acqua in abbondanza, ma entrare tra le mura di Eden non è così facile, Ken infatti lo farà solo da prigioniero. Da qui la storia ha una svolta completamente diversa da quella che conosciamo ed amiamo, anche se, in ogni caso, buona parte dei personaggi ‘classici’ avranno una loro parte anche in questo titolo (a parte Shu, che fine ha fatto Shu?). Mi piacerebbe dire che, nonostante il diverso risvolto della trama di questo titolo, la qualità non ne risente, ma non è propriamente così. Non è per niente male, ma molto del Pathos (e dei traumi) che l’opera offriva è del tutto svanito. Non è nemmeno paragonabile alle vicissitudini che vive il Dragone di Dojima a dirla tutta. Infatti, a differenza degli Yakuza, questo titolo ha dimostrato di avere meno mordente sul giocatore: vi interesserà sapere come va avanti la storia ma non tanto quanto succedeva con le avventure di Kiryu insomma. Detto questo, però, in ogni caso riesce a caratterizzare egregiamente personaggi vecchi e nuovi. Questi ultimi sono tutti estremamente interessanti e si mescolano alla perfezione nel mondo post apocalittico di Hokuto no Ken, sembrano essere usciti fuori dalle pagine del Manga.
Omae Wa Mou Shindeiru
Il titolo fondamentalmente si basa sul motore grafico che abbiamo visto, ad esempio, in Yakuza 0 e Yakuza Kiwami. Il tutto però è stato sapientemente modificato: lo stile di combattimento di Ken ha una sua personalità, così come le tecniche speciali della divina scuola di Hokuto che, pur mostrando delle ovvie similitudini con le Heat Actions dei titoli Yakuza, si discostano decisamente da queste. In questo gioco, per esempio, non si dovrà riempire la barra dell’heat ma si dovrà mandare il nemico in uno stato di stordimento: “meridian shock”. A questo punto basterà premere un tasto per sferrare una devastante tecnica segreta interattiva – a differenza delle Heat actions – per via di QTE. Per gli amanti della serie sarà una gioia sferrare i cento colpi distruttivi di Hokuto o il colpo del pentimento. Tuttavia, nonostante il numero di tecniche segrete mi sia sembrato abbastanza corposo, non è difficile credere che, dopo una decina di ore, le stesse possano risultare estremamente ridondanti.
Le sezioni di guida nelle wasteland rappresentano un’altra grande “sfaccettatura” del titolo. A bordo del (personalizzabile) fuoristrada di Ken potremo esplorare un vasto deserto raccogliendo, nel frattempo, materiali o riempiendo di botte i vari predoni che prenderanno la scelta sbagliata.
Ma come succede con i giochi di Yakuza, anche in questo spin-off non potevano mancare numerose attività secondarie ad arricchire l’esperienza di gioco. Il più delle quali ridicolizzano in modo molto divertente l’immagine del duro e stoico uomo dalle sette stelle: facendogli preparare cocktail ad una velocità impressionante; curando dei malati con la pressione degli tsubo a ritmo di musica classica (e non); e rendendolo manager di un night club. Come se non bastasse, durante le nostre scorribande nelle wasteland potremo recuperare anche cabinati con cui divertirci, poi, nella sala giochi di Eden. Infine, ho apprezzato tantissimo l’arena, anche più del colosseo di Yakuza. Qui, si possono riaffrontare tutte le (numerose) boss battle del titolo ad una difficoltà sempre crescente e tutte le volte che si vuole, insomma non ci si stanca mai!
Livin’ in nineties
Come già detto, Fist Of The North Star: Lost Paradise usa il vecchio motore grafico dei giochi di Yakuza e non il fresco e performante Dragon Engine. Con quest’ultimo, a mio parere, si sarebbe potuto fare molto di più ma anche così come si presenta ora, l’impatto grafico non è da sottovalutare. Il character design di Ken e degli altri personaggi ricorda molto quello visto nella pentalogia di “Ken il Guerriero – La leggenda” e sembrano proprio essere usciti fuori da un anime, grazie agli effetti di cell shading gestiti in maniera impeccabile.
Un ennesimo punto in cui questo gioco non regge il confronto con la serie di Yakuza è la città in cui si svolge la storia: Eden è lontana anni luce dai fasti e dalla bellezza di Kamurocho. Tuttavia, se pensiamo che, comunque l’ambientazione dovrebbe essere post apocalittica, la ‘povertà visiva’ offerta dalla cittadina potrebbe esser perdonata. Ma in ogni caso penso che si sarebbe potuto renderla più bella senza stravolgere i canoni dettati dall’ambientazione.
La musica del gioco, nonostante la qualità come sempre impeccabile, mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca: questa ricorda più Yakuza che Ken il guerriero. Aspettarsi Ai Wo Torimodose o Tough Boy forse era un po’ esagerato, ma, quando parte uno scontro, le note richiameranno subito le battle theme a cui Yakuza ci ha abituato piuttosto che farci sentire nel mondo del Salvatore di Hokuto.
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