Attenzione, questo articolo potrebbe contenere diversi spoiler sulla storia di God of War Ragnarok, disponibile su Playstation 4 e Playstation 5.
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Raccontare il rapporto tra un genitore e un figlio non è semplice. Non lo è affatto e oserei dire che non sono in tanti a essere riusciti in quest’impresa. Almeno videoludicamente parlando. Ci sono ovviamente dei casi eccezionali come The Last Of Us, che in maniera cruda ci aveva dipinto un quadro realistico e malinconico, a tratti simile al capolavoro letterario La Strada. Anche il God of War del 2018 ci mostrò qualcosa di intimo, drammatico e realistico (senza essere realistico).
Il viaggio di Kratos e il figlio Atreus è ormai una leggenda, ma all’inizio il focus era proprio sul loro complesso rapporto. Però no, non voglio parlare di quella parte del viaggio. Voglio invece parlare della genitorialità presente in God of War Ragnarök e di cosa significhi avere figli. Ovviamente parlo da profano in quanto non ne ho uno, ma l’empatia mi lascia comunque provare un po’ di quelle emozioni ataviche e profonde di cui è dipinta la tela di questo gioco.
God of War Ragnarök si presenta con due chiavi di lettura. Da una parte abbiamo Atreus, che nella sua innocente fanciullezza ricerca la verità. Il ragazzo sente il bisogno di dare una mano, di aiutare e sa cose di cui nessun altro è a conoscenza. Ovviamente essere presi in considerazione da piccoli è un privilegio riservato a pochissimi e Atreus non è tra quelli.
La sua giovane età gli fa sempre pensare di poter risolvere i problemi a modo suo, senza consultare gli altri, senza conoscerne il pensiero e i timori. La sua è un’impulsività dovuta a molti parametri e tra questi anche l’essere figlio di un semi dio di cui non riesce a decifrare l’animo. Suo padre è in effetti un vero enigma per Atreus ed egli delle volte prende le sue preoccupazioni come un qualcosa di molto negativo, credendo addirittura che il padre non lo voglia far migliorare; che non gli dia minimamente ascolto. Eppure non è così.
Allo stesso modo, Atreus non riesce a capire cosa muove Freyja. Quella strada fatta di vendetta e di sangue già calpestata da suo padre molto tempo addietro. Alla domanda del perché la dea non decide di abbandonare la propria vendetta, Kratos risponde: “Non può farlo. Ho ucciso suo figlio”. Questa singola frase colma di immensa profondità spiega quel che prova un genitore, ma che un figlio non riesce a capire, giustamente.
Atreus nel corso della sua avventura si allontanerà dal padre nel continuo tentativo di proteggerlo e di cambiare le sorti della profezia. Lui sa benissimo che in realtà il padre vuole solo il suo bene, ma sentendosi messo all’angolo nel dover svelare i propri segreti dice che no, non dirà niente perché anche il padre ha i suoi segreti. Manca quel dialogo aperto e reciproco insomma.
La seconda chiave di lettura è quella di un genitore o per meglio dire, dei genitori. Kratos è un vero spartano e nonostante la sua età desidera solo proteggere suo figlio. Per questo è disposto a fare qualsiasi cosa, senza risparmiarsi mai e poi mai. Tutto è lecito se di mezzo c’è la salute del proprio figlio e qualsiasi prezzo non sarà mai troppo alto per il suo benessere. Se per salvare il figlio bisognerà uccidere e scatenare una vera e propria guerra, sia così.
In questo secondo capitolo vediamo però anche Freyja da molto più vicino di prima. Ora è una donna sconfitta e piena di rancore nei confronti di Kratos, di Odino e di tutto il panteon norreno. Ha perduto un figlio e questo ha stravolto per sempre la sua mente, ma non l’ha resa diversa da una qualsiasi altra madre. Non ha voluto togliere la vita ad Atreus, nemmeno quando poteva farlo senza grosse difficoltà.
Nel corso dell’avventura il giocatore imparerà a conoscere questa dea così complicata, ma così rispettosa e amorevole. Risulterà chiara la sua somiglianza con Kratos da questo punto di vista. In effetti a un certo punto i due possiamo vederli semplicemente come dei genitori molto preoccupati, ma allo stesso tempo pronti a tutto pur di salvare i propri figli. Conoscere il destino di Baldur rese Freyja impetuosa come un oceano e determinata come poche altre creature nell’universo. Una madre si sente nel dovere di aiutare il proprio figlio (o figlia) a tutti i costi, finendo per sacrificare la propria vita.
Freyja ovviamente cerca sempre di convincere Kratos della sua natura da Sparatano, da Fantasma di Sparta, ma egli non accetta più quel destino. Non vuole e non può accettare questa folle idea di essere solo una pedina in un grande gioco eppure sembra che lo sia per davvero.
Quando la profezia le norne svelano la sua morte per mano di Heimdall, Kratos capisce che deve agire. Sa benissimo che l’unico modo per fermare tutto è quello di risolvere la questione alla radice, ma allo stesso tempo dice sempre che l’unico motivo per il quale fa tutto ciò è suo figlio. E questo è vero.
Kratos non è spinto dalla vendetta, ma dalla paura di vedere il figlio morire. Ha già visto sua moglie e sua figlia perire per causa sua e non vuole rivivere questo dolore una seconda volta, non ora che ha la possibilità di rifarsi una vita.
In questo grosso cerchio i destini dei personaggi si intrecciano in un groviglio di emozioni talmente vive da sembrare qualcosa di realistico. Atreus indubbiamente colpisce e a tratti sembra fastidioso nel suo volere salvare la situazione da solo, ma è solo un ragazzo e come tale è impetuoso. Vorrebbe più fiducia da parte del padre, che dal canto suo ha paura di esagerare con la troppa libertà. All’inizio per Kratos era difficile addirittura poggiare la mano sulla spalla del figlio e questa sua lontananza forzata lo obbligava a chiamarlo con l’appellativo “Ragazzo”. Questa volta la situazione sembra più complessa di prima e per lo spettatore è chiara la divisione tra il padre e il figlio.
Ora il vecchio spartano senza la paura di perdere il figlio, eppure nemmeno il suo ritrovamento non migliora il suo umore. Alla fine però capisce qualcosa di importante. Il momento in cui Kratos comprende di essere tornato a essere quell’uomo rancoroso e diffidente che era un tempo. A quel punto accade il vero cambiamento. Il pentimento di un genitore, il perdono del figlio e una promessa eterna.
God of War Ragnarök ha il pregio di narrarci una storia interessante profonda e matura, questo è chiaro. Certo, ci sono delle stranezze narrative e delle imprecisioni grossolane all’interno della mitologia norrena, ma tutto sommato si tratta di un’opera che trascina il giocatore attraverso delle emozioni profonde e ataviche. Il modo in cui questi rapporti famigliari vengono raccontati sorprende e rincuora il finale che apre nuove strade, chiudendone di altre aperte in precedenza.