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A volte mi capita di sentirmi giù. Lo stress della vita lavorativa, sempre frenetica e dai risvolti a volte completamente imprevisti, il caos della vita privata, i progetti collaterali, quello che vorresti fare di altro (che proprio non c’entra niente con quello che fai di solito) ma per cui non riesci a trovare abbastanza tempo: questo mix di cose riesce a volte a farmi sentire davvero soverchiato. Ed anche se sono una persona che tende a seguire le proprie passioni in maniera sufficientemente naif (fregandosene quindi del risultato) sentirsi inadatti a portare avanti con un minimo di criterio tutto quello che si vorrebbe fare è una trappola sempre dietro l’angolo. “Questo non potrà mai essere all’altezza”, “troppi problemi per portarlo a termine”, “non porterà abbastanza risultato” etc.
Ma questo pippone iniziale per dirvi cosa? Beh, fondamentalmente solo per dirvi che esistono delle storie che riescono a smuovermi, e farmi passare questa sorta di inerzia disillusa in cui ogni tanto cado preda. E le storie che riescono a farlo meglio di tutte sono proprio le storie degli studi di sviluppo videoludici e dei folli menti che sono riusciti a metterli in piedi. Ecco perché oggi ritengo doveroso puntare un riflettore più sulle loro storie (e sul perché possano risultare così edificanti) che su quelle dei giochi che si dannano per mettere in piedi.
Storie di ispirazione anche mentre tutto va a rotoli
Dirlo nel 2024 è dire una roba forte. Perché, lo sappiamo tutti: l’annata per il mercato videoludico è una di quelle poco entusiasmanti. Le contrazioni economiche che il mercato sta subendo, generando tonnellate di licenziamenti e chiusure di studi, dovrebbero in realtà far pensare tutto l’opposto. E se stiamo nel contemporaneo è certamente così. Si legge poco di esaltante. Volition, Tango Gameworks, Arkane Austin, solo per citarne alcuni, non sono certo fra quei nomi che possono far dire “cià, sentiamo questa storia di successo per tirarmi su”. Serve quindi staccarsi un po’ dal qui e oggi, per andare un po’ più indietro.
L’ispirazione, infatti, si trova andando a bere sempre più vicino alla sorgente. Andando a pescare quelle storie di sviluppo così particolari che hanno contraddistinto la storia dei videogiochi, e la nascita di titoli celebri. In periodi storici dove l’attenzione sul media era minore, la tensione economica sul settore pure; momenti embrionali in cui si riescono a intercettare ancora quelle splendide parabole simil spielberghiene dove anche un ragazzo, solitamente fra gli “ultimi della fila”, armato di tanta buona volontà, scaltrezza, intuizione e competenze (non riconosciute ancora dalla società), riesce a mettere in piedi qualcosa di completamente inaspettato. Non serve essere Steve Jobs, non serve fondare Apple, per trovare storie del genere. Andando a pescare anche nel passato di saghe come Zelda, Final Fantasy, Pokemon, o anche saghe mediamente più recenti come Demon’s Soul e Assassin’s Creed, si trovano fatti ed eventi capaci di far brillare gli occhi (sapevate che Patrice Désilets ha dato vita ad Assassin’s Creed mentendo spudoratamente alla compagnia che lo pensava la lavoro sul nuovo Prince of Persia?). Alexey Pajitnov ha creato Tetris, un gioco capace di cambiare il mercato (e un pochino pure il mondo), nel suo tempo libero e nel pieno delle restrizioni del regime sovietico.
Gli anni d’oro del…
Le storie degli autori, e degli studi di sviluppo, sono assurde, e molte iniziano generalmente con salti carpiati tripli del genere, in cui fortuna e genio devono andare di pari passo. Era la scena, più di tutti a consentirlo, perché il settore, un tempo, invogliava a partecipare, anche osservandolo da lontano. Si sentiva la stessa euforia di un’americanissima corsa all’oro. Quei momenti storici particolari, in cui è possibile fare breccia, e anche tu, dal nulla, puoi uscire dalla tua casa di campagna sperduta per immergerti nei fiumi dello Yukon per scoprire se la fortuna dorata sarebbe stata dalla tua. Tra gli anni ’80 e ’90 un settore quasi vergine ha iniziato a maturare chiamando sempre più persone intorno a sé, a proporre idee, quando ancora non era poi così compreso dagli stessi primi “piccoli” publisher che provavano a sputare fuori sul mercato questi prodotti ludici con l’obiettivo di attirare un’utenza già abbastanza di massa, perlomeno fra i più giovani. Giochi, esperimenti forse sarebbe meglio dire, che venivano messi in piedi a volte in fretta e furia, e si dovevano confrontare con un mercato che già li voleva come prodotti maturi. L’era dell’ingenuità, dove la creatività era la base di partenza, per poi capire se si sarebbe riusciti davvero a crearne un prodotto commerciale di richiamo. Il mercato un’ambizione, un’idea da scalfire, ma che non dava pressioni, e non ti dava soprattutto l’idea di poterti crollare addosso da un momento all’altro. Tu ne volevi fare parte e sentivi di poterlo dominare. Il terreno più fertile del mondo, insomma, per le idee, e per le storie di rivalsa sociale.
La passione svanita fra gli uffici delle corporate
Per mettere insieme il prodotto, valeva tutto. Non esistevano schemi da seguire, la scia era quella dell’intuizione, mentre le professionalità del settore ancora non erano così tanto strutturate da far percepire una sorta di barriera di ingresso: ognuno col proprio know how provava a capire quale fosse la migliore maniera di procedere. Certezze, ovviamente, poche. Nottate in ufficio quando il proprio progetto prendeva stranamente il via e diventava qualcosa di più di un’idea: tantissime. Giornate a ritmi folli, con imprevisti dietro ogni angolo. Ma, a traghettare fuori dall’oblio, ancora la voglia di riuscire a dare vita a qualcosa di nuovo, qualcosa che arricchisse quel mercato ancora vergine, che valeva il proprio tempo, la propria concentrazione. La visione che ora abbiamo del crunch proviene da una degenerazione di questa attitudine, che vuole gli artisti concentrati sul loro progetto per assicurarsi della sua realizzazione. Ora questa visione non ci sembra più così romantica, e ciò è dovuto in parte a questi nuovi mostri corporativi (i nuovi ambienti di sviluppo) in cui l’umanità, e la centralità del singolo, viene a perdersi: ci è stata sporcata da corporate gigantesche che rendono questi processi meno volontari e indipendenti. Il “flow” (uno stato di benessere mentale che si verifica quando una persona è completamente immersa in un’attività) d’altronde, si verifica generalmente quando il livello di abilità e la sfida si equivalgono (svincolate da forzature e mitomanie), e quello che traspare ascoltando queste storie, le storie che ci raccontano di come sono nati questi mondi virtuali, parlano proprio di quello: passione disinteressata, senza controllo. Passione autentica, capace di portare ispirazione.
Storie da bere, da prendere da esempio
Ed è proprio quando bevi tutta questa passione che ti scopri ancora più assetato. Conoscere e apprendere, dalle storie di queste persone che pur in situazioni così seminali, e in assenza di strutture guidate, hanno creato quelle che sono le basi della cultura ludica che condividiamo oggi, non ha prezzo. E aiutano, in parte, a trovare anche una quadra sulle proprie indecisioni. Se ce l’hanno fatta loro, a fare dell’improvvisazione la loro vera fatality – skill, allora forse anche tu riuscirai a cavartela nel tuo meeting di lunedì mattina, o all’esame che non sai se sei davvero pronto a dare. Se state attraversando un momento del genere, il consiglio spassionato è: buttatevi a capofitto su queste storie. Esempi di atterraggio concreti? A bizzeffe: il podcast di Andrea Porta “Storie di videogame” (per avere la prospettiva degli studi), la (prima) produzione “Man of Steel” di Round Two, il documentario di Microsoft “Power On” (per avere la prospettiva degli hardware manufacture), la serie “High Score” di Netflix (per avere la prospettiva della storia del mercato), le interviste, gli approfondimenti di tutte le testate giornalistiche si dannano come matte per portare alla luce queste verità. Buttatevi su queste narrazioni, in particolar modo. Perché, a contrario della filiera cinematografica, è il processo steso di creazione del videogioco a dare ancora più valore a queste imprese. Ha quel qualcosa di magico in più. Creare un mondo interattivo, trovando sempre modi diversi per simulare “la vita”, creando sinergia con altre persone, professionalità, che sentano loro il tuo sogno, la tua visione, e vi partecipino, attivamente, trasmetto un entusiasmo difficile da paragonare. Nella creazione e nella distribuzione di videogiochi non si è soli: l’opera dipende da una somma di elementi, e non solo dal singolo. Devi convincere un sacco di altre persone a remare con te. Mai come nei videogiochi bisogna fare squadra, lavorare a testa bassa, insieme, per raggiungere la fine di un progetto. Ed eccolo qui: uno degli ingredienti migliori per ogni storia in grado di emozionare davvero. La meraviglia del lavorare in team. I nostri mai troppo apprezzati team di sviluppo.
Uno per tutti e tutti per uno
Sono storie di singoli, che diventano storie di squadra. Che si mischiano infine, con le nostre, di storie. E a togliere un po’ di malinconia dalla situazione, basti pensare che l’era dell’oro non è finita. Affatto. Anche guardando nel contemporaneo ci sono altre storie fenomenali, da cui trarre ispirazione. Nonostante questo mercato in collasso. Basti pensare a quel geniaccio di Kan Gao e il suo To The Moon tirato su con un RPG Maker improvvisato al momento, e al nuovo episodio che sta proprio lanciando in questo periodo. O andiamo su Vampire Survivors di Luca Galante per stare ancora più vicini sull’asse del tempo. Di belle storie, ce n’è, e ce ne saranno sempre.
Come ci saranno ancora le parabole più tristi. I Concord, gli Anthem, e con loro, le lacrime versate da quelle squadre che, per un motivo o per l’altro, di questo pazzo mercato, non ce l’hanno fatta a incidere il loro nome nella storia, in una storia, perlomeno che faccia bene sentire, che faccia bene raccontare. A noi il compito di vedere in controluce la magia che le persone hanno messo comunque in campo, per realizzare questi mondi. Obiettivo unico: preservare la meraviglia delle nuove persone che vorranno approcciarsi al lavoro in questo settore. Perché di magia ce n’è. Ce n’è ancora. E non dobbiamo farcela togliere dalle tonnellate di notizie infernali che vediamo ogni mese. Non è cambiata: è la stessa seminata e utilizzata da chi ha provato a costruire questi mondi, all’origine: da quel bambino chiamato Shigheru Miyamoto che, con in mano una vecchia lanterna, scopre una caverna vicino alla sua casa, e da lì, parte il suo percorso per dare vita a Zelda, per esempio. Per tutti gli altri esempi ora, tocca a vuoi. Buona caccia selvaggia. Acchiappatele tutte.