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Junji Ito, per chi già lo conosce non servirebbe aggiungere altro. Pluripremiato autore di manga a tematica horror dai disegni strutturalmente semplici ma ricchi di dettagli, il più delle volte angoscianti, si ripropone al mondo con la sua più recente opera: Lo Squalificato, una miniserie composta da tre volumi basata sull’omonimo romanzo, uno tra più venduti del Giappone, del 1948 di Osamu Dazai. Sia nel romanzo che nella sua trasposizione manga si narra di Oba Yozo e della sua vita tormentata dall’incapacità di rapportarsi con qualsiasi altro essere umano, privo di empatia, ricco di violenza, bisognoso di accondiscendenza ma al tempo stesso, paradossalmente all’espediente adottato della buffoneria che lo mette spesso al centro dell’attenzione generale, di non voler essere considerato ed “oppresso” dagli altri.
Horror e Tragedia
Da un mangaka che ha tralasciato la sua carriera da odontoiatra in seguito ad una vittoria conseguita in un contest di manga, grazie a Tomie (il suo primo horror manga), non ci si aspetta un’opera come questa. L’autore passa dalle tematiche di esseri deformi e raccapriccianti che trasudano violenza infliggendo dolore fisico ai suoi personaggi, all’introspezione dell’essere umano tormentato dai suoi mostri interiori che lo affliggono mentalmente, essenzialmente compongono l’intera parte “horror” del manga. Lo squalificato sembra quasi un esperimento di Ito per dimostrare, forse a se stesso, di essere in grado di creare altro o di inserire i suoi elementi oscuri ed angoscianti in un contesto più umano e meno fantasy ma, quasi per non fallire, si è rifatto ad un’opera già di successo nella sua cultura.
Impressioni sulla lettura
Per quanto riguarda questo primo volume, gli avvenimenti suscitano dispresso ed un interesse mediocre abbinato a quella che potremmo facilmente identificare come rabbia nei confronti del protagonista. Yozo (il tormentato, afflitto, vittimista, ed autolesionista Yozo) non suscita l’empatia minima necessaria affinchè un lettore si schieri dalla sua parte, non consente un coinvolgimento emotivo e per svariati motivi legati agli avvenimenti del manga è meglio così. Ogni singola scelta del protagonista è basata sul bisogno egoistico e morboso di dare una buona opinione di sè agli altri, gli stessi altri con i quali non vuole avere niente a che fare, provocando così una serie di situazioni dettate dalla maschera che ha deciso egli stesso di indossare, sature di menzogne ed ipocrisia. Le ambientazioni rendono giustizia al contesto storico e culturale dell’opera ma con i “pregi” possiamo finirla qui, i disegni non lasciano impresso qualcosa (non abbiamo trovato tavole da poter apprezzare in particolar modo), l’andamento generale è noioso ed affrontato in modo banale, per non parlare delle espressioni di vari protagonisti che in situazioni estreme sembrano innaturalmente storpiate. Il nostro protagonista “squalificato” dalla vita si vede per ciò che ha deciso di diventare ma non è solo, insieme al suo vero “io” porta con sè anche gli spettri del suo passato senza affrontarne nessuno perchè è solo un vigliacco e paranoico che preferisce “non essere” così da apparire agli occhi di chi lo circonda, quello che in realtà è: un mostro. Sono davvero pochi i motivi che spingono a seguire le vicende di Yozo e l’unica valida è quella di vedere se alla fine riuscirà ad ottenere la pace che tanto sembra agognare con un’inesorabile e tipica fine prematura che accomuna non le persone “deboli” di carattere ma quelle vigliacche che si lasciano schiacciare da una normale e semplice vita priva di problemi, se non quelli che si procurano da soli. Alcune domande sorgono spontanee: il successo del romanzo dal quale e tratto, è meritato? Se si, parliamo di un successo altamente contestuale legato esclusivamente alla cultura giapponese degli anni ’50 o avrebbe suscitato lo stesso clamore anche nella cultura occidentale e più attuale? Non ci resta che trarre le nostre conclusioni una volta letto tutto ciò che lo riguarda.
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