Only Murders in the Building – La mia comfort zone fatta a serie tv

Only Murders in the Building - La mia comfort zone fatta a serie tv
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Ci sono serie televisive che fanno parte dell’universo di un determinato servizio. Stranger Things è accomunato a Netflix, Jack Ryan a Prime Video e ovviamente Only Murders in the Building con Disney+. Una serie che ha saputo giocare bene le sue carte fin dalla primissima stagione e con un trio tanto energico quanto sinergico. Infatti è facile appassionarsi a Selena Gomez, Martin Short e Steve Martin, che insieme formano il trio vincente.

Only Murders in the Building

Con la conclusione della terza stagione ho deciso di scrivere due righe riguardo la sua conclusione e ovviamente il suo andamento. Perché stavolta il crimine è stato più intricato delle volte precedenti e sono successe così tante cose da far paura. Però partiamo per gradi.

La terza stagione ha visto come casus la morte di Ben, un famoso attore televisivo interpretato da Paul Rudd. Una morte come sempre sospetta e per di più divisa in due parti. Questo ovviamente è già abbastanza per fare al gruppo il loro mestiere, ossia indagare sull’omicidio conducendo il proprio podcast. E qui arriva un punto leggermente dolente. All’interno della stagione corrente manca quella folla di persone che ascoltavano il podcast. Manca proprio la componente dei fan e tutta la produzione è presente, ma allo stesso tempo assente. Altro punto veramente a sfavore è la presenza di Tina Fey, che come una macchietta compare solo per pochi attimi, ma non è più il rivale. Non si sente alcuna minaccia da parte sua e ciò ovviamente non è del tutto positivo per lo show.

Eppure la serie ha funzionato. Ha funzionato per tutta una serie di motivi come la scrittura e l’evoluzione di ogni singolo personaggio. I tre protagonisti riescono a cambiare in meglio e le loro personalità migliorano di episodio in episodio grazie a degli approfondimenti continui. Certo, potevano essere ancora più meticolosi nel proprio gli sceneggiatori, ma probabilmente ci sarebbero voluti altri episodi extra. Quindi potrei dire che anche questo risultato è più che ragguardevole. Bisogna inoltre ricordare che alcuni punti sono dei ponti che andranno direttamente verso la quarta stagione.

Cos’è però che funziona così bene in questa serie? Beh sicuramente il tipo di narrazione, che riprende un po’ i classici che tutti ricordiamo come la Signora in Giallo e il Tenente Colombo. Due serie che giocano sempre con la solita e medesima impostazione narrativa che non stanca praticamente mai e che in fin dei conti ha portato anche Detective Conan ad avere più di cento numeri editi. La differenza però è la verticalità di quelle serie rispetto all’orizzontalità presente in Only Murders in the Builind. A questo dobbiamo aggiungere anche la mai banale comicità e un mix di personaggio strani e stravaganti che abitano l’Arconia.

Sono quindi tanti i fattori che hanno portato al successo questa serie e la terza stagione rischiava di andare fuori dai binari inizialmente, per poi riprendersi alla grande. Personalmente mi piaceva l’inizio fuori dagli schemi, ma tornare nella propria bolla fa sempre un certo piacere, lo ammetto.

Only Murders in the Building

In questa stagione abbiamo inoltre visto due guest star eccezionali. Paul Rudd nei panni del personaggio ucciso convince a metà. Non è un attore che va a prevalere sugli altri, ma in un certo senso resto leggermente sotto il resto del cast. Poi abbiamo Meryl Streep, che con tutto il suo charme e bravura prevale sugli altri. Le sue doti canore poi hanno spiazzato tutti, me incluso. C’è da chiedersi se esiste qualcosa che Meryl non sappia fare meglio degli altri. Probabilmente no.

La genitorialità entra ancora una volta in modo preponderante all’interno delle puntate con due esempi ben azzeccati, ma forse un po’ caricaturali. Da una parte abbiamo la produttrice con il figlio e il loro morboso rapporto comico e drammatico. Dall’altra invece c’è Meryl e il figlio non voluto. Quest’ultimo rapporto ha delle piccole falle nella realizzazione finale in quanto meritava un maggiore sviluppo, ma risulta essere comunque poetico e piacevole da vedere.

Insomma, questa stagione non ha superato la prima, ma rappresenta comunque un ottimo esempio di qualità alla quale deve puntare la Disney.

Sull'autore

Rostislav Kovalskiy

Un non troppo giovane appassionato di tutto quel che ruota attorno alla cultura POP. Vivo con la passione nel sangue e come direbbe Hideo Kojima "Il 70% del mio corpo è fatto di film".