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Il panorama videoludico degli horror sia nelle piccole che nelle grandi realtà continua imperterrito nel voler perseguire una paradossale rimodulazione stilistica e narrativa attraverso i canoni “tradizionali” del genere, che verso la fine degli anni novanta consacrarono titoli come Resident Evil e Silent Hill, i quali definirono i nuovi confini estetici dell’horror nell’ambito del macrocosmo videoludico. Cionondimeno “l’oscillazione del gusto” da parte del consumatore risulta indiscutibilmente un fattore vitale da dover perseguire nonostante la sua costante mutevolezza, e questo approccio è venuto proceduramente a manifestarsi specialmente nelle piccole realtà che hanno cercato di mettersi in gioco con nuovi espedienti ludici, di certo non sempre apprezzati dal pubblico.
Protocol Games, a seguito di una campagna kickstarter piuttosto remunerativa, ha voluto coscientemente perseguire questo impervio percorso cercando di offrire un prodotto che non si discosta molto dal “classico” ma che al contempo desidera paradigmaticamente ridefinire nuovi standard…purtroppo l’inesperienza del team di sviluppo, ed un budget indubbiamente risicato, hanno lasciato intravedere solo un potenziale inespresso contornato da una macchinosità tecnica in grado spesso e volentieri di andare ad inficiare l’intera esperienza di gioco.
Ombra e controllo:
Song of Horror riesce a centralizzarela nostra attenzione, in questa sua struttura episodica, sin dall’inizio con un’interessante canovaccio narrativo che, prendendo spunto dalle stereotipizzazioni del genere in ambito letterario configurazionalmente stilate dai vari Edgar Allan Poe, H. P. Lovcraft e Stephen King, ci permetterà di discendere nel buio profondo dell’animo dei vari protagonisti che impersoneremo i quali saranno costantemente perseguitati da un’entità oscura che infesta un enorme e sconfinato maniero.
Le vicende partono con l’inspiegabile scomparsa del famoso scrittore Sebastian P. Husher assieme a tutta la sua famiglia. Preoccupato dalla situazione decisamente inusuale, il suo editore manda un assistente di nome Daniel ad indagare, ma costui dopo tre giorni non è ancora tornato indietro. Una sparizione che getta in qualche modo luce sugli eventi misteriosi e orribili che popolano la casa: un’entità senza nome che viene chiamata “la Presenza” che sembra quindi responsabile degli orrori che vivono nelle ombre e che attende giusto un’altra vittima sacrificale.
Con ognuno dei personaggi a noi presentati ecco che viene a delinearsi una delle particolarità più interessanti del titolo: la morte in ogni momento ed in modo permanente del nostro “protagonista“, cionondimeno gli altri “sostituti” continueranno per noi l’indagine da dove era stata precedentemente sospesa intercalandoci in un loop di continui fallimenti. Questa peculiare struttura narrativa se da un lato porta a demonizzare esponenzialmente questa fantomatica ombra che si cela nelle profondità del maniero che in alcune situazioni risulta esser particolarmente perspicace nel prevedere i nostri movimenti, d’altro canto devalorizza la caratterizzazione dei singoli personaggi che saranno, prorpio per necessità narrative, facilmente interscambiabili tra loro e tali da evidenziare una certa superficialità che nelle fasi più avanzate dell’esperienza verrà fortemente a radicalizzarsi.
Sbagliando…si muore
L’atmosfera asniolitica che sin da subito ci investe non appena intravedremo per la prima volta la “Presenza” verrà a sua volta ad acuirsi con i nostri continui fallimenti, visto che quest’ultima è controllata da un’IA avanzata che si adatta alle nostre decisioni e azioni, ed imparerà da esse per poter divenir sempre più perspicace nel prevedere i nostri movimenti.
Tutto ciò non fa altro che diversificare quest’esperienza dalle classiche stereotipizzazioni cui noi videogiocatori siamo abituati offrendo un gameplay nel quale la tensione si innalza naturalmente invece di limitarsi a semplici sequenze scriprate che possono in alcuni casi sfociare in una linearità molto meno suggestiva agli occhi di chi cerca un esperienza sulla soglia dell’attimo.
Purtroppo ciò che non convince al di là di un sistema di controllo piuttosto grezzo del personaggio, che spesso e volentieri sarà decisivo per le sorti della sua stessa vita, risulta esser l’inutile complessificazione degli enigmi che soprattuto nelle fasi più avanzate porteranno inevitabilmente ad una frustrazione tale da desiderare di mandare all’aria l’intera indagine, ma contemporaneamente il ritrovamento costante di innumerevoli indizi renderanno l’ambiente più dinamico da affrontare, dal recupero di chiavi ai panni da oliare per accendere un fuoco e proseguire nelle letture dei documenti sparsi lungo tutto il maniero.
Per quanto affascinante ed al tempo stesso frustrante possa esser in effetti non esiste un vero e proprio modo di affrontare la sfida postaci se non armati di tanta calma e pazienza, e saremo noi a dover decidere ogni passo verso la ricerca della verità ed infatti, alfine di sottendere che in tutto e per tutto siamo continuamente in balìa degli avvenimenti ed in completa solitudine, disponiamo solo di una lanterna (luce o torcia che sia) senza pile e di un inventario minimale a sua volta corredato da una mappa utile a capire dove siamo e cosa abbiamo già visitato…al contempo nulla ci vieta di giungere alla fine del gioco con un solo personaggio, ma sarà un’impresa davvero complessa.
Il comparto tecnico non convince
Uno degli aspetti più negativi del titolo è di certo il comparto tecnico, che nonostante si presenti dal punto di vista grafico particolarmente ispirato nel suo essere fluido, preciso, ricco di particolari e con animazioni convincenti crolla in modo vertiginoso grazie ad un sistema di controllo decisamente insufficente che renderà il nostro malcapitato di turno una facile preda della “Presenza” che non aspetta altro che vederci incastrare tra i vari oggetti dello scenario in modo decisamente anticlimatico con l’atmosfera di tensione venutasi a creare. Non da meno anche il sonoro pecca per il suo imperante minimalismo che lascia sin da subito emergere la profonda indole “amatoriale” dell’opera.
Per quanto concerne la longevità siamo dinnanzi ad un’esperienza che la riduce ai minimi termini proprio perchè, una volta scoperta la trama e superati i puzzle, non rimane altro che affrontarla con diversi personaggi e nella fattispecie è il gioco stesso che non invoglia alla rigiocabilità, mettendoci davanti al classico muro di frustrazione nel caso ci riprovassimo per voler platinare il titolo.
Inoltre troviamo Song of Horror disponibile in ogni lingua (almeno per sub e interfaccia) tranne che per l’italiano, che considerato il livello di difficoltà degli enigmi non aiuta i giocatori occasionali ad ambientarsi al meglio nei meandri di un maniero decisamente ostile e di certo rappresenterà un ostacolo non indifferente per poter comprendere nella sua totalità il susseguirsi degli avvenimenti.