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Il panorama videoludico degli ormai denominati “indie games” in questi ultimi anni è letteralmente esploso grazie all’inventiva di giovani promesse e team di sviluppo amatoriali che seppur con budget tradizionalmente limitati sono riusciti a regalare nella maggior parte dei casi esperienze rimaste impresse nell’immaginario collettivo di tanti videogiocatori per le tematiche affrontate che fuoriescono dal classico ordinario che le opere di natura videoludica hanno da offrire. Quest’ oggi parliamo di un titolo che incarna perfetta l’ideologia anteposta precedentemente perché STAY, l’ultimo progetto di Appnormals Team (una software house dapprima conosciuta solo per il titolo mobile non tanto ispirato Super Barista), ha cercato di approcciarsi al medium in modo del tutto avulso rispetto ai classici canoni che noi appassionati ben conosciamo elargendo un’opera che rompe costantemente la “quarta parete” facendoci vivere gli avvenimenti non da protagonisti ma da semplici fruitori passivi nonché da “aiutanti” del giovane Quinn, un ragazzo rapito nel cuore della notte da una figura oscura e gettato nello scantinato di un misterioso edificio ove la sua unica speranza di salvezza risiederà in vecchio PC al centro di questa stanza con il quale trovare qualcuno “là fuori” e chiedere aiuto, ossia noi…insomma siamo dinnanzi, seppur dalle premesse non particolarmente originali, ad un titolo in stile pixel art sicuramente apprezzabile ma di stampo dichiaratamente psicologico tanto nei contenuti quanto nel gameplay che, nonostante a tratti eccessivamente frustante a causa di una componente puzzle inserita in modo (quasi) del tutto decontestualizzata ed atta solo a render più longeva un’esperienza che nella sua interezza di certo non regala emozioni ma che riesce a farci empatizzare con le sensazioni, i pensieri e soprattutto le paure del protagonista, indottrinandoci nel suo prosecuzio che il destino di Quinn non dipende solo ed esclusivamente da noi, ma anche dalla sua “volontà“.
Ogni scelta è importante
Ebbene sì, non si esagera nel parlare in questa istanza di vera e propria volontà, poiché Quinn ha una sua coscienza reale, mutevole e tangibile che varierà a seconda delle risposte che gli forniremo. Essendo gli unici interlocutori e l’unica ancora di salvezza dell’impaurito giovane bisognerà instaurare sin da subito un rapporto di fiducia con lo spaesato protagonista che, con grande arguzia ma con tanto timore, inizierà a porsi degli interrogativi che in alcuni casi ci metteranno e non di poco in difficoltà, arrivando addirittura in alcuni frangenti ad additarci come il vero rapinatore, sta in quel caso al giocatore rassicurare il giovane grazie ad un gaemplay che si limita, come nelle più classiche delle avventure grafiche, nel scegliere la risposta giusta che ci permetterà di conoscere le sue paure per indurlo a trovare una soluzione ai suoi problemi mantenendo al contempo i nervi saldi.
Lo status mentale rappresenta un punto focale dell’intera esperienza seppur contestualizzato e ridefinito in modo decisamente rivedibile ed approssimativo attraverso una sorta di HUD che richiama il tradizionale Tamagotchi che ci garantirà mediante un sistema di valori psichici e relazionali (i quattro umori del dottore, il suo livello di affezione e il suo livello di fiducia) una visione in tempo reale delle reazioni di Quinn che muteranno anche a seconda del tempo trascorso in game, un parametro che se preso alla leggera porterà a svariati cambiamenti di trama nel corso dell’esperienza, ciononostante non si ha mai il brio di modellare effettivamente nella sua totalità un costrutto che di per se risulta esser abbastanza lineare e “scriptato” con una totale assenza di game over che si traduce sostanzialmente nel dover ri-iniziare il capitolo da capo arrivando, soprattutto nelle fasi finali, ad esser quasi stancante dover ripetere la stessa sezione di gioco.
Storia interessante ma…
Altro fattore decisamente frustrante e del tutto fuori luogo sono i puzzle che incontreremo nel corso dell’opera, inseriti probabilmente come riempitivi ed atti semplicemente a diluire un susseguirsi di avvenimenti piuttosto lineare che vengono difatti spezzettati troppe volte da queste sezioni di gameplay aventi difficoltà sempre crescenti ma che di certo non riusciranno mai ad impensierire realmente il videogiocatore navigato, che si ritroverà ad un certo punto del gioco perso nei meandri di questi piccoli enigmi da risolvere che di certo non influiscono in modo attivo alla trama ma risulteranno esser completamente alienanti dalle situazioni vissute fino a quel momento ma che di conseguenza rappresenteranno l’unico ostacolo per poter proseguire una narrazione cionondimeno ben scritta e sorretta da un comparto grafico e sonoro decisamente mai fuori contesto ed anzi riuscendo difatti ad elargire un grado di immedesimazione di alto livello come nelle più classiche delle avventure grafiche. Purtroppo pur anteponendo una cura maniacale per alcuni dettagli il team di sviluppo (probabilmente a causa di limitazioni economiche) ha sfruttato questo stratagemma, rivelatosi sin dai primi istanti mal riuscito per aumentare l’esperienza di un gioco che a livello di interazione risulta completamente privo di un’autorialità che tanto contraddistingue il genere degli indie games rispetto alla globalità del medium.
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