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Suda 51 è una delle pochissime grandi personalità nel panorama videoludico. Grazie alla sua creatività ed al coraggio di proporre giochi che rompono gli schemi tradizionali, questo artista ha cercato di rivoluzionare il mondo dei videogiochi con ogni suo lavoro a prescindere dai risultati, che talvolta sono stati deludenti. Quello di cui parleremo però, non è un suo nuovo progetto, bensì il suo primo lavoro con la GrassHopper Manufacture, uscito nel 1999 solo in Giappone, parliamo ovviamente (come avrete già dedotto dal titolo) di The Silver Case.
Percorsi obbligati
The Silver Case appartiene ad un genere molto particolare, quello della visual novel. In un certo senso, si può dire che questa categoria sia l’antenata dei racconti interattivi che hanno fatto la fortuna di Telltale, ma il fattore di interattività è estremamente più ridotto. Per questa riedizione è stata aggiornata giusto un po’ la grafica dei filmati, e persino il pessimo sistema di controllo e di menù, datato e scomodo anche per gli standard della prima PlayStation, è stato riportato fedelmente senza miglioramento alcuno.
Il gioco utilizza pochi tasti: la croce direzionale per tutti i movimenti, o in alternativa lo stick sinistro. Non esiste lo strafe, il movimento laterale, quindi l’unico tasto per camminare sarà la freccia verso l’alto, visto che quella di destra e quella di sinistra spostano semplicemente lo sguardo di 90°, mentre quella bassa, di 180°. Il tasto di selezione X, quello per annullare o, ed il ∆ per avere accesso rapido alle iterazioni con gli oggetti e le persone che ci troveremo davanti. R1 e R2 servono per spostare lo sguardo in alto o in basso, e con una pressione della parte superiore del touch pad, accelereremo la velocità dei dialoghi. Come avrete capito, il protagonista ha una mobilità ridottissima, e si sposta secondo percorsi predefiniti, aggiungendo ai movimenti “fotografici” della serie Mist giusto l’animazione dello spostamento.
Nero su rosso
The Silver Case ci lascia scegliere il nome del personaggio principale, ed in questa recensione, vista la sua scarsa mobilità ed agilità, lo chiameremo Ceppo di Legno. Se pensate che tale definizione sia un po’ irrispettosa verso un personaggio di una storia dalle tinte così cupe, beh, aspettate di giocarci, visto che per tutto il gioco ci verrà assegnato un appellativo molto più scurrile che non ripeteremo in questa sede. Ceppo di Legno è un poliziotto delle forze speciali che si troverà coinvolto in una serie di omicidi commessi da persone molto disturbate, in uno scenario in cui il confine tra vittime e carnefici è molto labile.
Il paesaggio narrativo si colloca in una megalopoli in cui la merce più preziosa sono le informazioni, e di conseguenza la privazione delle stesse, viene usata come arma per mantenere lo status quo, e togliere potere economico e politico ad una popolazione sull’orlo della guerra civile. In questo cupo setting narrativo, un famoso serial killer sembra essersi rimesso all’opera nonostante la sua apparente impossibilità di nuocere a chicchessia. L’ambientazione di The Silver Case anche se spesso in maniera indiretta, ha un ruolo centrale e pesa molto sulla narrazione, e può essere considerata letteralmente come un grande personaggio muto presente in tutte le scene.
Lo zen e l’arte di arronzare
Ci sono due modi per dirlo: da una parte, la storia, anzi le storie, visto che The Silver Case si divide in due capitoli distinti con due diversi protagonisti, sono l’aspetto del gioco meglio curato e più interessante; l’altro modo per dirlo, è che la storia è l’unico aspetto del gioco curato ed interessante. Del sistema di controllo più adatto al mondo vegetale che a quello animale abbiamo già parlato, l’interattività è ai minimi storici, visto che sporadicamente dovremo risolvere semplici enigmi di sostituzione lettere o numerici, anzi, nemmeno dovremo farlo, visto che per ognuno di questi enigmi c’è un tasto che risolve tutto automaticamente.
Si sente tanto la mancanza di un glossario, che sarebbe utile per ricordare chi è chi e cosa e cosa, vista la “quintalata” di informazioni con cui il gioco ci bombarda in forma di muri di testo, ovviamente tutti in inglese. (E visto che abbiamo toccato l’argomento “lingua” lasciate che vi racconti la vera Perla: se non imposteremo la lingua di sistema della PS4 in inglese, il gioco ci catapulterà in un mondo parallelo in cui non potremo fare altro che vagare in una stanza buia, nel quale caricare una partita salvata comporterà il crash del gioco.
Il problema è noto agli sviluppatori, visto che abbiamo preso l’accorgimento della lingua di sistema dopo una ricerca per canali ufficiali, e siamo abbastanza sicuri che una tale enormità verrà riparata, ma lasciateci dire che rilasciare e rendere disponibile per l’acquisto un gioco con un simile, enorme difetto di programmazione non è altro una grandissima mancanza di rispetto ed un inequivocabile segno di menefreghismo nei confronti dell’utenza, per quanto esigua, di madrelingua non inglese, e solo per questo meriterebbe di essere lasciato nei server di PSN, completamente ignorato.
[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]Il progresso sta nel migliorare qualcosa ed adottare quel miglioramento come standard per il futuro. Una riedizione di un vecchio gioco può anche essere un’occasione per aggiungere nuove funzionalità, come ad esempio, un sistema di movimento e menù un tantino più aggiornato. Invece qualcuno di Grasshopper ad un certo punto ha deciso di prendere The Silver Case, dargli giusto una spolverata, e buttarlo allegramente nello Store. La storia, come abbiamo già detto, è interessante, ma interessante è molto diverso da capolavoro, e visto che anche la giocabilità ed il fattore intrattenimento sono entrambi latitanti, non troviamo nessun motivo convincente per invogliarvi ad acquistare questo “aspirante gioco di culto”.[/stextbox]