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The Town of Light è approdato da pochissimi giorni su Steam. Si tratta di un titolo in prima persona sviluppato da una squadra tutta italiana che non solo è riuscita a ricostruire lo storico manicomio di Volterra, ma, allo stesso tempo, lo ha anche reso teatro di una vicenda drammatica. Al centro di tutto, i ragazzi di Lka hanno deciso di mettere una giovanissima e sventurata protagonista di nome Renée T., ricoverata in questa struttura in cui sarà vittima di disagi profondi e giornate buie.
È bene ricordare come i manicomi, nell’epoca in cui si profilano le memorie di Renée (il ricovero è datato 1938, e quindi in pieno regime fascista), internassero persino i dissidenti politici e gli omosessuali. Ebbene sì, la destinazione di Gabriele, impersonato da Marcello Mastroianni ne “Una Giornata Particolare” (1977) di un Ettore Scola che ci ha purtroppo lasciato di recente, sarebbe stata molto probabilmente proprio un manicomio. La conoscenza delle patologie psichiche e il loro trattamento all’epoca, un po’ per ignoranza ma anche forse per crudeltà, era alquanto spartana, e ben presto scopriremo quali orrori e sevizie gli ospiti di Volterra subirono. Tutto questo, naturalmente, sempre attraverso gli occhi della memoria di Renée T. Abbiamo parlato degli “occhi della memoria”, in quanto la protagonista che impersoneremo sarà una visitatrice della struttura ormai logora, polverosa e nell’abbandono totale.
Pericolosa per sé e per gli altri
The Town of Light non ha ricostruito solo il manicomio di Volterra, ma anche i dintorni. Il luogo in cui muoveremo i nostri primi passi, infatti, sarà un piccolo parco adiacente la struttura. Non appena entreremo nel manicomio vero e proprio la narrazione inizierà a scatenarsi attraverso il ritrovamento di oggetti, brevi visioni strappate dal passato (magari mentre varchiamo una soglia particolare) o per mezzo della lettura di documenti spesso legati alla burocrazia sanitaria della struttura. Sono anche presenti dei filmati non interattivi decisamente ben concepiti votati a un approccio stilisticamente encomiabile.
Nel corso della nostra esplorazione del manicomio abbandonato riceveremo quindi una successione di informazioni in svariate forme che ci aiuteranno a ricomporre la storia di Renée, le ragioni delle sue turbe e gli eventi per lei significativi avvenuti prima e in seguito al suo internamento. The Town of Light, come specificato all’avvio di una nuova partita, tratta di tematiche forti e, non a caso, non è consigliabile per tutte le età e giocatori. La ricostruzione del manicomio ci è risultata ben realizzata, e, senz’altro, questo aspetto giova all’atmosfera di gioco. Ogni tanto, inoltre, dovremo interagire proprio con Renée effettuando delle scelte testuali che apriranno la strada a filoni differenti. Queste vie alternative, inoltre, saranno ben visualizzabili cliccando sulla voce “Capitoli” nel menu di gioco o di pausa, potendo scegliere l’avvio di un passaggio specifico a nostra scelta. Il gioco, inoltre, ci dà anche la possibilità di visualizzare nuovamente qualsiasi materiale chiave in qualunque momento.
Purtroppo, però, le note positive di The Town of Light terminano qui, in quanto il titolo risulta purtroppo minato da diversi aspetti negativi che non possiamo ignorare.
Note dolenti
Una delle prime cose che abbiamo notato è come The Town of Light dia costantemente del filo da torcere alla nostra configurazione* senza motivo. Non possiamo assolutamente vantare il titolo di “esperti di sviluppo di videogiochi” e affini, ma considerando come alcuni elementi dello scenario tendono a sparire e riapparire ed evolversi in maniera improvvisa e talvolta incoerente (soprattutto negli esterni) ci sentiamo di azzardare concludendo come probabilmente questa pressione assolutamente ingiustificata di risorse hardware sia imputabile a una gestione del rendering ai limiti dell’assurdo. Anche uscire o entrare dagli edifici sarà “doloroso”, e una minuscola stanza di un seminterrato ci ha procurato diversi mal di testa.
L’unico modo per ridurre al minimo gli scatti continui è stato diminuire parecchio le impostazioni video e ridurre la distanza della visuale al minimo sindacale: in poche parole, per far girare The Town of Light in maniera appena decente siamo stati costretti a rendere ciò che si trovava a una media distanza da noi simile all’approccio grafico di The Witness (questo effetto si nota soprattutto nella vegetazione). Naturalmente non abbiamo assolutamente nulla contro lo stile grafico di quest’ultimo titolo, e teniamo a precisare come questo paragone sia solo un esempio pratico per darvi un’idea (soprattutto considerando come The Town of Light, al contrario dell’ultimo lavoro di Jonathan Blow, sia improntato a una grafica spiccatamente realisticistica).
Fin qui abbiamo parlato di aspetti tecnici e grafica, e a qualcuno potrebbe non interessare. Tutto giusto, ma le magagne di The Town of Light sono appena cominciate. Passiamo alla unica voce narrante italiana che farà le veci delle parole della protagonista, delle memorie di Renée e anche della lettura dei documenti. Il suo tono e qualità a livello recitativo, purtroppo, ci è risultato abbastanza scadente, privo di mordente e di rado all’altezza del contesto drammatico e introspettivo a cui il titolo si vota. Il tono di voce è infatti spesso monotono, come se bastasse dire le cose con tono “scazzato” per risultare coinvolgente e che possa provocare empatia nel giocatore.
Le prestazioni tutt’altro che encomiabili di The Town of Light potrebbero non darvi fastidio, ma se c’è una cosa che può mettere in ginocchio una vicenda tanto drammatica e delicata è senza dubbio l’assenza di una controparte al doppiaggio in grado di interpretarla e sostenerla a dovere. Compito assolutamente non facile ci mancherebbe, ma, purtroppo, anche questo aspetto è stato reso in maniera inefficace.
Un’ultima nota riguarda la scarsa chiarezza delle azioni da intraprendere in, per fortuna, solo un paio di occasioni (il capitolo 12, per la precisione, riteniamo che debba assolutamente essere rivisto). In queste sfortunate circostanze, infatti, non avevamo compreso appieno dove andare e cosa fare per poter proseguire e, inoltre, l’andatura poco convinta e la mancanza della possibilità di correre, anche per poco, ha reso i nostri tentativi esplorativi più lunghi e tediosi di quanto avrebbero dovuto essere. Prima di passare alla conclusione, inoltre, abbiamo anche notato come, seppur raramente, alcuni brani musicali o anche dialoghi tendano a interrompersi prima del dovuto.
*Intel Core i5 750 2.67 GHz, Gigabyte GTX 970, 8 GB RAM
Conclusioni
Non appena abbiamo iniziato a giocare a The Town of Light siamo entrati in una piccola catapecchia vicina al manicomio, e qui abbiamo trovato due trofei esaminabili. Entrambi recavano la stessa scritta, rivangando un premio vinto dagli sviluppatori. Non ce n’era uno, ma ben due uguali. Nella stessa stanza. Se già di primo acchito questa operazione ci era sembrata più sbruffona che simpatica, col senno di poi non possiamo fare altro che interpretarla come un “mettere le mani avanti”.
Naturalmente non è nostra intenzione calpestare in maniera sadica il frutto della fatica dei ragazzi di Lka. Riteniamo comunque, allo stesso tempo, che un falso complimento faccia molti più danni di una critica. The Town of Light, in fondo, rappresenta indubbiamente uno sforzo congiunto per poter mettere in piedi e narrare una vicenda estremamente delicata e difficile da produrre sotto più punti di vista. La figura e passato di Renée T., purtroppo, non sono riusciti a distogliere la nostra attenzione da una gestione tecnica, ahinoi, scadente, nonché da una voce narrante inadatta e quasi mai in grado di essere al livello del contesto drammatico che vorrebbe, e dovrebbe, accompagnare, suggerire e narrare.
The Town of Light è sempre stato un progetto estremamente ambizioso, reso ancora più gravoso e impegnativo proprio per il semplice fatto che la vicenda ivi narrata è, come detto più volte e giusto poco fa, molto impegnativa che richiede un equilibrio qualitativo indispensabile e molto difficile da mantenere per tutta la durata del gioco. In linea teorica, The Town of Light aveva tutte le carte in regola per avere un ottimo riscontro presso i videogiocatori. Purtroppo, e lo diciamo a malincuore, a quanto pare il progetto si è rivelato troppo grande per questi giovani sviluppatori italici una volta che si è dovuti passare alla fase di produzione. Ma voi, cari Lka, non demordete e prendete il meglio da questa nostra! E magari, la prossima volta, mirate un poco più in basso, tenendovi pronti a investire più risorse e sforzi creativi senza mai accontentarvi.