White Day 2: The Flower That Tells Lies – Recensione

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Direi che è da tempo che non provavo un horror con buone idee che però, non sono state realizzate bene per mille motivi che vedremmo nel corso dell’articolo. Giusto la settimana scorsa ho iniziato a giocare quasi pesantemente a The First Descendant, un titolo realizzato da un team di sviluppo coreano come nel caso di White Day 2.

Non avendo provato il primo episodio non farò paragoni pesanti, se non quelli che possiamo vedere tranquillamente tutti quanti noi su youtube, oltre a leggere qualche articolo d’informazione. Nelle caratteristiche horror il titolo in questione è davvero interessante e in certi contesti mi ha anche spaventato, come deve fare un horror, però nella ricerca degli indizzi non mi ha convinto ma ne parleremo con calma.

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Un investigazione scolastica

Ce da dire che se cronologicamente rispetto al primo capitolo sono passati solo 4 giorni, il titolo era originariamente stato pubblicato nel 2001 su PS2 e poi riproposto nella scorsa generazione su PS4, Xbox One e PC nel corso del 2017. Da quello che è successo nella scuola di Yeondu High School la polizia sta indagando su quello che è successo, e si pensa che strane presenze vivano ancora nell’edificio.

Due amici decideranno di passare la notte in questo posto, cercando di sopravvivere in un contesto dove diverse presenze vogliono solo eliminarli. Tra jump scare e situazioni che sembrano usciti da Dead Space, pace e anima alla defunta Visceral Games, cercheremmo di capire il perché di questi fatti e di trovare la pace per queste anime pie che, non faranno altro nel cercarci.

Dal punto di vista narrativo non è strabiliante ciò che abbiamo di fronte, ma è gestita molto bene dove il giocatore non saprà mai che cosa trovarsi dietro una porta di una classe, un armadietto oppure un condotto dell’aria. Non sono presenti molti capitoli nel titolo e si completa in poche ore, ma rimane comunque un gioco dove bisogna andare avanti e indietro spesso, riuscendo a donare al giocatore un senso di inquietudine che da Alien Isolation non provavo.

Nulla di nuovo dal fronte orientale

Dal lato gameplay non ho trovato nulla di realmente nuovo rispetto a qualche video visuonato da youtube, fornendo la medesima esperienza nel nuovo capitolo con forse un unico peggioramento. Da quanto ho letto nel porting e rimasterizzazione del precedente episodio, erano presenti i sottotitoli in italiano mentre nel seguito manca questo, oltre al fatto che il gioco era impostato in coreano e ho dovuto smanettare un pochino per metterlo in inglese.

Il menu è diviso in tre parti la consueta mappa che è diversa da un capitolo all’altro, che ci mostra le varie zone da visitare e le aree che possiamo accedere. La seconda è dedita all’inventario molto essenziale in quanto tutto ciò che troveremmo, le utilizzeremmo nel corso del capitolo e difficilmente lo troveremmo in quello successivo, il motivo è semplice ossia ogni oggetto è utilie per l’area che visiteremmo come chiavi per aprire porte e cassette di protezione, degli oggetti spezzettati che a differenza della saga di Resident Evil si uniscono magicamente da sole, senza che noi dobbiamo fare una qualsiasi tipo di manipolazione per riunirle.

Il terzo e ultimo punto sono i documenti lasciati dalle persone all’interno dell’istituto, asseconda dei testi che troviamo – e che molti faranno parte solamente per allargare la lore del gioco – potranno spiegarci dove trovare determinati oggetti oppure contestualizzare il mondo della scuola. Leggendo i vari testi gli ho trovati interessanti fino a un certo punto, in quanto da un lato si leggono commenti relativi alla vita normale degli studenti ( dagli esami, insicurezza del futuro e similari ai nostri in occidente) e altri relativi al folklore asiatico/coreano.

Ma se volessimo combattere?

Questo è un aspetto che non mi aspettavo di trovare all’interno di un titolo come questo, di solito in un mondo di gioco dove se noi siamo delle prede normalmente abbiamo solo una soluzione, ovvero la fuga. Anche in White Day accade più o meno lo stesso, dove se veniamo braccati da qualche studente bullizzato e ucciso all’interno della scuola, diventa di conseguenza uno spirito che ha bisogno di essere mandato nell’aldilà però con forti caratteristiche demoniache.

Raccontata così sembra uno spin off di Bleach, che a momenti arriva Rukia per rimandarlo nel Seiretei per ripacificare l’anima ma non è così, perché nel caso in cui una di queste anime ci attaccasse potremmo difenderci ma non eliminare definitivamente l’avversario. Ce da dire che il tasto della difesa permette solo una cosa, di allontanare il nostro nemico momentaneo e non di eliminarlo in quanto, non abbiamo effettivamente un arma simile ad una Zanpakuto ( o qualcosa di paragonabile alle Katane di Bleach) per fronteggiare i nostri avversari.

Per tanto l’attacco servirà solo momentaneamente per allontanare il nostro avversario, per poi fuggire a gambe levate e trovare un postro tranquillo. Perché alla fine dei conti è un horror che si accosta più sul versante survival, con alcune sfacettature psicologiche, il quale ci obbliga quasi a ragionare e non a buttarci a capofitto di fronte alle lotte e questo rende il gioco estremamente adatto ad un genere come questo.

Graficamente non mi convince

Normalmente non mi lamento della grafica di un videogioco, perché alla fine dei conti quello che maggiormente ci interessa è se ci divertiamo, però mi sembra di aver giocato ad un titolo a metà fra la fine della settima e l’inizio dell’ottava generazione. Le movenze dei personaggi mi hanno dato l’impressione di essere precisi, ma che in alcuni contesti sembrano indecisi e che non abbiano superato lo scoglio dell’attrazione che un giocatore si aspetta di trovare.

Le movenze e come si comportano i personaggi mi hanno ricordato i KDrama, ossia quelle serie televisive o film di stampo coreano, gli ho trovati adatti per dei personaggi che potremmo vedere in film oppure serie tv orientali. Però seguo il discorso che ho effettuato precedentemente, ossia che ognuno di loro mi hanno dato l’impressione di non saper che cosa fare, di essere sempre indecisi su come continuare il viaggio.

Dal lato sonoro è convincente e più di una volta i suoni riescono a impadronirsi dei nostri sensi, o dei miei visto che hanno attratto la mia attenzione spesso e volentieri. Ce da spaventarsi nei Jump Scare? Dipende se siete come nel mio caso che vi spaventate anche per una farfalla allora si, nel caso contrario per chi non si stupisce molto dove sono le varie creture, che mi hanno dato l’idea che se ci avessi pensato un po’ prima è come se chiamassero il giocatore, facendo perdere un po’ quella sensazione di spavento psicologico.

Insomma alla fine dei conti il titolo mi ha dato l’impressione di avere ottime idee, ma nella conclusione non mi ha fatto impazzire nell’esperienza.

Sull'autore

Giacomo Lambertini

Cresciuto con pane, videogiochi e fumetti cresce con una voglia smisurata di raccontare ciò che più gli appassiona a chiunque.